Vittorio Arrigoni
Diario da Gaza
(articoli scritti per il manifesto nel dicembre 2008 – gennaio 2009)
29 dicembre 2008
Diario di un pacifista
sotto le bombe
Nell’aria acre odore di zolfo, nel cielo lampi intermezzano fragorosi boati. Ormai le mie orecchie sono sorde dalle esplosioni e i miei occhi aridi di lacrime dinanzi ai
cadaveri.
Mi trovo dinnanzi all’ospedale di Al Shifa, il principale di Gaza, ed è appena giunta la terribile minaccia che Israele avrebbe deciso di bombardare la nuova ala in costruzione.
Non sarebbe una novità, ieri è stato bombardato l’ospedale Wea’m.
Insieme ad un deposito di medicinali a Rafah, l’università islamica (distrutta), e diverse moschee sparse per tutta la striscia.
Oltre a decine di installazioni CIVILI.
Pare che non trovando più obbiettivi “sensibili”, l’aviazione e la marina militare si diletti nel bersagliare luoghi sacri, scuole e ospedali. E’ un 11 settembre ad ogni ora, ogni minuto, da queste parti, e il domani è sempre un nuovo giorno di lutto, sempre
uguale. Si avvertono gli elicotteri e gli aerei costantemente in volo, quando vedi il lampo, sei già spacciato, è troppo tardi per mettersi in salvo. Non ci sono bunker antibombe in tutta la Striscia, nessun posto è al sicuro.
Non riesco a contattare più amici a Rafah, neanche quelli che abitano a Nord di Gaza city, spero perchè le linee sono intasate. Ci spero.
Sono 60 ore che non chiudo occhio, come me, tutti i gazawi. Ieri io e altri 3 compagni dell’ISM abbiamo trascorso tutta la nottata all’ospedale di al Awda del campo profughi di Jabalia. Ci siamo andati perchè temevamo la tanto paventata incursione di terra che poi non si è verificata.
Ma i carri armati israeliani stazionano pronti lungo il confine tutto il confine della Striscia, i loro cingoli affamati di corpi pare si metteranno in funerea marcia questa notte.
Verso le 23:30 una bomba è precipitata a circa 800 metri dall’ospedale, l’onda d’urto ha mandato in frammenti diversi vetri delle finestre, ferendo i feriti. Un’ ambulanza si è recata sul posto, hanno tirato giù una moschea, fortunatamente vuota a quell’ora.
Sfortunatamente, anche se non di sfortuna ma di volontà criminale e terroristica di compiere stragi di civili, la bomba israeliana ha distrutto anche l’edificio adiacente
alla moschea. Abbiamo visto tirare fuori dalle macerie i corpicini di sei sorelline. 5 sono morte, una è gravissima.
Hanno adagiato le bambine sull’asfalto cabonizzato, e sembravano bamboline rotte, buttate via perchè inservibili.
Non è un errore, è volontario cinico orrore.
Siamo a quota 320 morti, più di un migliaio i feriti, secondo un dottore di Shifa il 60% è destinato a morire nelle prossime ore, nei prossimi giorni dopo una lunga agonia. Decine sono i dispersi, negli ospedali donne disperate cercano i mariti, i
figli, da due giorni, spesso invano.
E’ uno spettacolo macabro all’obitorio.
Un infermiere mi ha detto che una donna palestinese dopo ore di ricerca fra i pezzi di cadaveri all’obitorio, ha riconosciuto suo marito da una mano amputata. Tutto quello che di suo marito è rimasto, e’ la fede ancora al dito dell’amore eterno che si
erano ripromessi.
Di una casa abitata da due famiglie, è rimasto ben poco dei corpi umani. Ai parenti hanno mostrato un mezzo busto e tre gambe.
Proprio in questo momento una delle nostre barche del Free Gaza Movement sta lasciando il porto di Larnaca in Cipro. Ho parlato coi miei amici a bordo. Eroici, hanno ammassato medicinali un pò in ogni dove sull’imbarcazione. Dovrebbe
approdare al porto di Gaza domani verso le 0800 am. Sempre che il porto esista ancora dopo quest’altra notte di costanti bombardamenti.
Staro in contatto con loro tutta questa notte.
Qualcuno fermi questo incubo. Rimanere in silenzio significa supportare il genocidio in corso. Urlate la vostra indignazione, in ogni capitale del mondo
“civile”, in ogni città, in ogni piazza, sovrastate le nostre urla di dolore e terrore. C’è una parte di umanità che sta morendo in pietoso ascolto.
30 dicembre 2008
Diario da Gaza,
mappa dell’inferno
Jabilia, Bet Hanun, Rafah, Gaza City, le tappe della mia personale mappa per l’inferno. Checchè vadano ripetendo i comunicati diramati dai vertici militari israeliani, e ripetuti a pappagallo in Europa e Usa dai professionisti della disinformazione, sono stato testimone oculare in questi giorni di bombardamenti di
moschee, scuole, università, ospedali, mercati, e decine e decine di edifici civili.
Il direttore medico dell’ospedale di Al Shifa mi ha confermato di aver ricevuto telefonate da esponenenti dell’IDF, l’esercito israeliano, che gli intimavano di evacuare all’istante l’ospedale, pena una pioggia di missili. Non si sono lasciati
intimorire. Il porto, dove dovrei dormire, ma a Gaza non si chiude un occhio da 4 giorni, è costantemente soggetto a bombardamenti notturni. Non si odono più
sirene di ambulanze rincorrersi all’impazzata, semplicemente perchè al porto e attorno non c’è più anima viva, sono morti tutti, sembra di poggiare piede su di un cimitero dopo un terremoto.
La situazione è davvero da catastrofe innaturale, un cataclisma di odio e cinismo piombato sulla popolazione di Gaza come piombo fuso, che fa a pezzi corpi umani, e contrariamente a quanto si prefigge, compatta i palestinesi tutti, gente che fino a
qualche tempo fa non si salutava nemmeno perchè appartenenti a fazioni differenti, in un corpo unico.
Quando le bombe cadono dal cielo da diecimila metri di quota state tranquilli, non fanno distinzioni fra bandiere di hamas o fatah esposte sui davanzali, non hanno
ripensamenti esplosivi neanche se sei italiano. Non esistono operazioni militari chirurgiche, quando si mette a bombardare l’aviazione e la marina, le uniche operazioni chirugiche sono quelle dei medici che amputano arti maciullate alle
vittime senza un attimo di ripensamento, anche se spesso braccia e gambe sarebbe salvabili. Non c’è tempo, bisogna correre, le cure impegnate per un arto seriamente
ferito sono la condanna a morte per il ferito susseguente in attesa di una trasfusione. All’ ospedale di Al Shifa ci sono 600 ricoverati gravi e solo 29 macchine respiratorie. Mancano di tutto, soprattutto di personale preparato.
Per questa ragione, esausti più che dalle notti insonni, dall’immobilismo e dall’omertà dei governi occidentali , così complici dei crimini d’Israele, abbiamo
deciso di far partire ieri da Larnaco, Cipro, una delle nostre barche del Free Gaza Movement con a bordo 3 tonnellate di medicinali e personale medico. Li ho aspettati
invano, avrebbero dovuto attraccare al porto alle 8 am di questa mattina. Sono invece stati intercettati a 90 miglia nautiche da Gaza da 11 navi da guerra israeliane, che in piene acque internazionali hanno provato ad affondarli. Li hanno speronati
tre volte, producendo una avaria ai motori e una falla nello scavo. Per puro caso l’equipaggio e i passeggeri sono ancora tutti vivi, e sono riusciti ad attraccare in un porto libanese.
Sempre più frustrati dall’assordante silenzio del mondo “civile”, i miei amici ci riproveranno presto. Hanno scaricato infatti i medicinali dalla nostra nave danneggiata, la Dignity, e li hanno ricaricati su di un’altra pronta alla partenza alla
volta di Gaza. Certi che la volontà criminale di Israele nel calpestare diritti umani e leggi internazionali non sarà mai forte come la nostra determinazione nella difesa di questi stessi diritti e uomini.
Molti giornalisti che mi intervistano mi chiedono conto della situazione umanitaria dei palestinesi di Gaza, come se il problema fossero la mancanza di cibo, di acqua,
di elettricità, di gasolio, e non chi è la causa di questi problemi sigillando confini, bombardando impianti idrici e centrali elettriche. Lunghe file ai pochi panettieri con
ancora le serrande semiaperte, 40-50 persone che si accapigliano per accappararsi l’ultima pagnotta. Uno di questi panettieri, Ahmed, è un mio amico, e mi ha confidato il suo terrore degli ultimi giorni. Più che per le bombe, teme per gli assalti al forni. Dinnanzi al suo, si sono già verificate risse. Fino a poco tempo fa c’era la polizia a mantenere l’ordine pubblico, specie dinnanzi alle panetterie, ora non si vede più un poliziotto in divisa in tutta Gaza. Si sono nascosti, alcuni. Gli alti stanno
tutti sepolti sotto due metri di terra, amici miei compresi.
A Jabilia ancora strage di bambini, due sorelline di Haya e Laama Hamdan, di 4 e 10 anni, colpite e uccise da una bomba israeliana mentre guidavano un carretto trainato da un asino, in strada as-Sekka, a Jabalia.
Mohammad Rujailah nostro collaboratore dell’ISM, ha scattato una foto che più di un fermoimmagine, è una storia, è la rivelazione di ciò che tragico viviamo intensamente ogni minuto, contandoci ogni ora, perdendo amici, fratelli, familiari.
Carriarmati, caccia, droni, elicotteri apache, il più grande e potente esercito del mondo in feroce attacco contro una popolazione che si muove ancora sui somari
come all’epoca di Gesù Cristo.
Secondo Al Mizan, centro per i diritti umani, al momento in cui scrivo sono 55 bambini coinvolti nei bombardamenti, 20 gli uccisi e 40 i gravemente feriti.
Israele ha trasformato gli ospedali e gli obitori palestinesi in fabbriche di angeli, non rendendosi conto dell’odio che fomenta non solo in Palestina, ma in tutto il mondo.
Le fabbriche degli angeli sono in produzione a ciclo continuo anche questa sera, lo avverto dai fragori delle esplosioni che avverto fuori dalle mie finestre.
Quei corpici smembrati, amputati, e quelle vite potate ancora prima di fiorire, saranno un incubo per tutto il resto della mia vita, e se ho ancora la forza di raccontare delle loro fine, è perchè voglio rendere giustizia a chi non ha più voce, a
chi non ha mia avuto un fiato di voce, forse a chi non ha mai avuto orecchie per ascoltare.
Restiamo umani.